Una dichiarazione d’amore alla filologia romanza e alla complessità: con i giusti accorgimenti anche il Medioevo può diventare un’avventura degna di un apprendistato da Mago Merlino.
L’articolo di Camilla Faccini
Non dimenticherò mai il primo giorno di università. Durante la presentazione del corso di laurea per le nuove matricole, prese il microfono una professoressa; si definì una filologa romanza, facendo una battuta sul fatto che la gente le chiedesse quale strumento suonasse. Avevo 19 anni e non avevo idea di cosa fosse la filologia romanza, né che per i cinque anni successivi sarebbe stato il centro delle mie giornate.
Cheerleaders e club del libro
Non avevo mai manifestato grande interesse per il mondo medievale: alle disquisizioni su crociati e amanuensi avevo sempre preferito la contemporaneità. Ripensandoci, forse perché nessuno me ne aveva mai parlato con la giusta passione. Incredibilmente, alla prima lezione di filologia romanza sentii di aver trovato il mio posto nel mondo: avevo alle spalle 5 anni di liceo linguistico e quei testi in langue d’oil, in antico spagnolo o in tardo latino mi suonavano incredibilmente chiari e stranamente semplici. Mi perdevo nei versi del Tristan di Béroul, sognavo il mio Cligès.
Al corso eravamo pochi. Un po’ come i partecipanti di quei tristi club del libro dei telefilm americani mentre tutti gli altri partecipano al corso di musical o imparano a volteggiare come cheerleader. Tutti attorno a me si dilettavano con poesia del ‘900, filologia dantesca o seminari teatrali, io invece imparavo a leggere manoscritti (spesso rovinati, incompleti, acefali e con l’inchiostro sbiadito).
Mago Merlino non filtrato
La paura di chiudermi in un settore poco spendibile mi ha fatto spesso visita in quegli anni: più volte ho cercato di rinnegare le mie inclinazioni, buttandomi addirittura su un corso di cantautorato come nuova frontiera della lirica contemporanea. Che si torna sempre dove si è stati bene, l’hanno detto altri prima di me: è finita che in filologia romanza mi ci sono laureata in triennale e anche in magistrale, con annesso soggiorno in terra inglese per studiare un manoscritto inedito sulla figura di Merlino e una certa expertise in campo brassicolo.
Tante volte, durante gli studi, mi sono rimproverata di non aver scoperto prima quel mondo affascinante. Perché nessuno me ne aveva mai parlato? Perché sul Medioevo avevo sempre sentito delle grandi banalizzazioni?
Lato carne lato pelo
Il tempo è passato, i ruoli si sono capovolti e tutti questi pensieri sono riaffiorati alcune settimane fa mentre tenevo un laboratorio sul libro medievale per dei ragazzi delle scuole medie. Nelle sale di una fondazione abbiamo guardato insieme antichi esemplari di pontificali, la riproduzione della Bibbia di Federico da Montefeltro, manoscritti dedicati a Santi.
Ho raccontato loro come nasceva un libro nel XIII secolo, dalla pelle degli animali ai fascicoli rilegati. Abbiamo osservato come da un lato la pergamena sia più pulita e chiara mentre dall’altra si possono riconoscere i residui dei bulbi piliferi e di come le carte siano sempre combinate accostando lati uguali (all’università la chiamiamo legge di Gregory, ma tant’è). Abbiamo cercato nelle carte “tracce” del lavoro dei copisti: antiche rigature, lettere di guardia vicino alle iniziali miniate, piccole annotazioni ai margini. Tutte cose che io scoprii, per la prima volta, a maggior età superata. Erano argomenti troppo difficili? No, basta saperli adattare a chi abbiamo davanti. Troppo noiosi? Vi garantisco che l’entusiasmo dei dodicenni era alto.
Diffondere la complessità
Umanisti, letterati, storici, filosofi o antropologi che siate: non è mai troppo presto per seminare passione. Non facciamo l’errore di considerare ciò che ci affascina troppo complesso o, peggio, poco attraente. Anche noi non ne eravamo conquistati, prima di conoscerlo, e anche il Medioevo può diventare affascinante come un pomeriggio in compagnia di Mago Merlino.
Soprattutto non facciamoci convincere dall’idea che il sapere sia prerogativa universitaria: i nostri studi ci hanno insegnato che dalla complessità può nascere opportunità e ci hanno fornito gli strumenti affinché questo accada. Alla me che si chiedeva dove mi avrebbe portata la filologia vorrei dire esattamente questo. È sull’amore per la parola che sto basando la mia precaria ma felice vita lavorativa e se solo un seme di questa passione seminata germoglierà, avrò conferma della validità di questi ragionamenti. Cadessero su un terreno arido, non demordiamo: la lotta contro i mulini a vento è nel nostro DNA.