Se la vita non ci porta a fare quello il lavoro che amiamo, tocca inventarselo, zigzagando tra le reti e gli ami dei pescatori con il coraggio necessario per nuotare controcorrente. Nessuno aveva mai azzardato una similitudine tra l’umanista e il salmone norvegese, prima di questo pezzo, così come prima di una folle idea non esisteva nessun irresponsabile marketing.
L’articolo di Andrea Piscopo
Responsabile, ma de che?!
Mi fa sempre molto ridere quando leggo altisonanti termini con cui la gente si presenta al mondo del lavoro, sigle pompose di cui almeno della metà ignoro completamente il significato.
Anni fa rimasi colpito dal racconto di uno chef che sul suo cv aveva messo solo 5,00 (leggasi cinque/00) semplicissime parole.
Chef.
Faccio tutto, tranne schifo.
Mi fece sorridere e allo stesso tempo mi incuriosì parecchio. Memore di quel ragazzo, ma anche centrifugato dalle esperienze avute in questo oceano che è il mondo del lavoro per un laureato in giurisprudenza come me, ho negli anni deciso di autoproclamarmi in un modo che non avevo mai sentito prima.
Come un pesciolino in un mare di squali con qualifiche altisonanti. Il Nemo che ero, che sono, spesso impigliato dagli ami della vita. Ma facciamo un tuffo indietro.
Studio Illegale e passioni
Quando uno si laurea e si riprende dalla sbornia, poi deve inserirsi nel mondo del lavoro.
Ora, tutti abbiamo amici avvocati e c’è persino chi dice che tra loro ci siano brave persone, ma la mia pratica forense non mi ha per nulla entusiasmato. Anzi, sono scappato una volta terminata, senza volerne sapere nulla in merito all’esame. Scappato in realtà è un parolone, visto che all’epoca ero in stampelle; diciamo che ho capito che non era la mia vita e sono strisciato via.
Nonostante tutti gli sforzi profusi in quei sei anni e mezzo, di cui cinque tra tomi, codici, articoli imparati a memoria, esami e notti insonni, e uno e mezzo tra udienze, atti, riunioni, incontri, sono strisciato via, non contento di dove stava fluttuando la mia vita.
Non contento delle giornate passate svogliatamente alla mia scrivania, in maniera a tratti apatica, in quello che scherzosamente ho ribattezzato studio illegale, perché non era legale quello stavo facendo a me stesso.
Non ero soddisfatto di convogliare le mie forze in qualcosa che non mi appagava e, soprattutto, non stavo inseguendo le mie passioni. Tra queste c’è sempre stato lo Sport, con la S maiuscola.
Sono strisciato via, con l’idea di provare a realizzarmi. Aggiungendo le parole Business e Master ho dato forma e sostanza a quell’idea. Era il 2015. Dopo un tuffo che credevo non mi avrebbe mai portato da nessuna parte, e dopo un naufragar non dolce in questo mare durato sei anni, sono arrivato ad una mezza stabilità lavorativa.
Forse.
Colpire senza pugni
Ora collaboro con tre realtà sportive che mi pagano (ci credete?!) per provare a far sì che le mie idee o la mia parlantina possa convincere un’Azienda a divenire Sponsor o Partner di una realtà sportiva. Negli anni abbiamo realizzato una maglia da gioco disegnata da un artista, un Brick contenente acqua autografato da una campionessa, una canzone composta da una pianista, una partnership con una biblioteca, un mattone venduto ai tifosi, un lambrusco e una birra nerofucsia. Pazzesco.
Per questo ho deciso di mettere sui biglietti da visita una parola che facesse ridere e incuriosisse. Mi sono autoproclamato “Irresponsabile Marketing”, un po’ perché responsabile mi suona di troppo pompato, un po’ per far sorridere, un po’ per differenziarmi dagli altri.
Alcuni quando lo leggono ridono, altri penseranno semplicemente io sia scemo. Altri ancora non ci fanno neanche caso. In questo caso mi impermalosisco e intervengo con una nuova tecnica che ho sviluppato in mesi. Accompagno con la frase “come avrà potuto notare dall’autoproclamazione del mio ruolo lavorativo, sono matto, ma solo perché punto a differenziarmi”.
Alcuni pensano che io sia scemo, altri ridono, altri sono certi che io sia scemo.
Sposta qualcosa nelle mie convinzioni? No. Anzi, mi dà la spinta ad agire in modo ancora più irresponsabile. Io voglio colpire, e voglio farlo in modo originale. Sperando chi ho di fronte capisca, non che punti ad arrivare alla mia lisca.
La amo-rale di tutto ciò
O ami quello che fai, o quello che fai diventa un amo. Ti impigli mentre nuoti nel lavoro.
Devi amare quello che fai, essendo consapevole che può arrivare un’onda a spazzarti via.
Essendo consapevole che qualche squalo o qualche pesce più grande ti vuole mangiare.
Essendo consapevole che tutto quello che ti appaga può finire da un giorno all’altro.
Essendo consapevole che un giorno tu debba evolverti perché saper nuotare non basta più.
Forse, può essere necessario addirittura che tu debba diventare un anfibio, perché quell’acqua in cui stai anziché darti vita ti fa annegare. Io non sono bravo a nuotare, non ho le branchie e sono già stato morso da troppe meduse, quindi sarà meglio dare tutto. E farlo ora.
La amo-rale di questa novella, è semplice: non bisogna avere paura di tuffarsi da un’altra parte se dove sei boccheggi. Soprattutto, o resti impigliato negli ostacoli della vita lavorativa, esattamente come un pesce con un amo, o cerchi di appassionarti a quello che fai.
Se riesci a farlo in maniera irresponsabile, senza prenderti troppo sul serio, meglio.

Andrea Piscopo
Trentatreenne (Dica 33) modenese trapiantato a Bologna per mistica scelta. Non si inserisce nella disputa sulla nascita dei tortellini, semplicemente li mangia (alla panna, con buona pace per la brodosa tradizione). Dopo una laurea in Giurisprudenza e una pratica forense, è finito, non si sa bene come, a lavorare nello Sport marketing, dove prova a vendere le sue idee a chi le sposa. Gli piace leggere e ogni tanto gli salta in mente di scribacchiare qualcosa.