Cosa mettere nel cv - Flavio del Fante

L’estate come barista al chiosco sulla spiaggia, le nottate a consegnare le pizze, i weekend a fare i commessi. La lista dei lavori che ci hanno accompagnato durante gli anni universitari è sicuramente più ricca e siamo certi che tanti di voi li abbiano occultati durante la ricerca di occupazioni più stabilli. Se almeno una volta vi siete chiesti cosa mettere nei vostri cv, armatevi di zappa e badile: le soft skill che tutti vi richiedono sono nascoste proprio lì, dove non le avreste mai cercate. 

L’articolo di Flavio Del Fante

Ho passato tante, troppe ore a inviare curriculum. A spulciare offerte di lavoro e scrivere candidature rimaste senza risposta. Chi ci è passato, sa quanto sia frustrante. Ma questo non è un j’accuse contro i recruiter che non hanno mai aperto il mio CV, le aziende che pubblicano annunci solo per presentarsi come “realtà in forte espansione” o il mondo del lavoro italiano. Se sono qui, è per condividere qualcosa con chi è sulla mia stessa barca. Anche se io ho deciso di saltare giù. In senso buono.

Dopo aver passato anche il 2020 a inviare CV, insieme a tre persone incredibili ho fatto qualcosa che non era nei miei piani: fondare un’agenzia di storytelling. Ci abbiamo lavorato per mesi, l’abbiamo lanciata in mezzo a mille difficoltà e abbiamo ancora tantissima strada da fare, ma stiamo iniziando a raccogliere i primi frutti.

Ora: non voglio fare il guru di Linkedin. Non ne sono capace e neanche mi piace il genere. Ma allora perché vi sto raccontando tutto questo? Torniamo al mio CV, che negli ultimi mesi è finito a prendere polvere nei meandri del PC, finché mi sono imbattuto in questo blog e nelle storie che raccoglie. A quel punto, d’istinto, sono andato a recuperarlo. Ed è così, nel cuore di una piovosa notte autunnale, che ho capito di aver sbagliato tutto.

Cosa mettere nel CV

Cosa mette nel CV una persona che sogna di vivere di scrittura? E chi lo sa? Io ho sempre evitato l’ampia e variegata letteratura sull’argomento e, nel mio, ci ho messo tutto ciò che pensavo potesse rendermi una penna interessante. Quindi vai con le mie due lauree umanistiche (meglio così che dire 3+2), le esperienze più significative come redattore e l’unico lavoro vero (cioè con un contratto) in linea con il mio percorso. Un po’ poco.

Perché? Semplice: perché ho fatto un sacco di lavori che non c’entrano niente con la scrittura. Per necessità o solo perché, giovane e ingenuo, volevo andare in vacanza. Ma nel mio CV non c’è mai stata traccia di queste esperienze. Credevo di doverle nascondere, ma poi ci ho ripensato. Perché mi sono reso conto che tutte, anche le peggiori, mi hanno comunque lasciato qualcosa. Che le soft skill acquisite (dal Manuale del Buon Annuncio di Lavoro) facendo cose che “magari è meglio non mettere nel CV”, invece avrei dovuto mettercele eccome. E allora eccomi qui a rimediare. A scrivere il mio “CV delle esperienze da non mettere in un CV”.

Il Fast Food: attitudine a lavorare sotto pressione

La prima risale alla penultima estate da liceale, quando, per un mese e mezzo, ho lavorato nella cucina di un noto fast food. Un’esperienza “altamente formativa”. Intanto perché ho imparato ad apprezzare la bellezza del lavoro. Cioè a non rosicare sulle foto di gente a mollo al mare mentre io nuotavo nell’unto. Ma anche perché ho iniziato ad affinare “l’attitudine a lavorare sotto pressione”. Cioè a non piangere di fronte al centesimo ordine da preparare in due minuti. Come quella volta che, alla fine del mio turno, è arrivato un pullman di affamatissimi turisti tedeschi e in cucina eravamo in tre.

La maschera: risorsa giovane e dinamica

Un paio di anni dopo ho passato dicembre e gennaio come maschera in un multisala. Oddio, maschera. Direi più galoppino. Diciamo che fare la maschera era quasi rilassante. In fondo dovevo solo staccare i biglietti, controllare le sale e che la gente non si imboscasse a fare cose dietro le uscite d’emergenza. Ma, quando serviva, dovevo anche aiutare al bar, far sparire i popcorn sparsi ovunque e pulire la macchina che li faceva con un acido altamente corrosivo. Cosa ho imparato lì? Un sacco di cose che ben si addicono a una “risorsa giovane e dinamica”. Nonché a mettere il cervello in stand-by durante le ore passate tra corridoi e sale. Qualità sempre più apprezzata da chi cerca personale in questo Paese (lo sapevo che prima o poi sarei caduto nella polemica populista).

Addetto ai controlli: l’arte del problem solving

L’anno dopo sono diventato addetto ai controlli di sicurezza in un aeroporto internazionale. Sì, uno di quei mostri guardiani del metal detector che non ne vogliono sapere dei vostri “forse è la chiusura lampo” e “ma è acqua, mica tritolo”. È qui che ho temprato la mia “attitudine a lavorare sotto pressione” e “in team”, che non fa mai male. Ma, soprattutto, è qui che ho imparato la sottile arte del “problem solving”. Perché ogni persona che ti capita davanti in quel contesto avrà infiniti “problem” da “solving”. E in fretta, che poi perde l’aereo. E tu non sai come reagirà di fronte alle tue richieste senza senso. Per lei, tu sei uno messo lì solo per impedirle di passare più tempo del dovuto al duty free.

Mi fermo qui. Penso che abbiate capito: ho un sacco di storie da raccontare e poco da mettere in un CV che si rispetti. A meno che non inizi davvero ad allegare questo pezzo a ogni candidatura (per fortuna non potete vedere dove ho messo le mani). Di certo non inaugurerò una tendenza, né cambierò le sorti del mondo del lavoro. Al massimo, regalerò un momento di ilarità a qualche recruiter annoiato, oppure a voi.

Flavio Del Fante

Ora che ci penso, in effetti sono un po’ strano. Per esempio, sono nato in una data bisestile e palindroma. E poi ho sempre sognato di vivere della mia penna. Come farlo, penso di averlo scoperto solo ora, alla soglia dei trent’anni. Ma comunque non smetto di esplorare nuovi mondi. Ché non si sa mai.

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