L’alta via degli studi umanistici è un percorso meraviglioso, un camminare leggeri sopra il grande capitale umano del passato per arrivare su una cima dove lo sguardo guadagna ampiezza. Ma che farsene di questa “ampiezza”? Molte volte studi brillanti risultano quasi “nocivi” nel consorzio degli uomini, e ci si sente sbagliati, privi di quel potere o quirk spendibile nel mondo del lavoro. Questo è quello che ci racconterà il nostro autore Daniele Costantini, per cui c’è un Izuku Midoriya in ogni umanista: questa è la nostra My Umanista Academia.
Un articolo di Daniele Costantini
C’è uno shōnen manga chiamato My Hero Academia in cui il giovane protagonista, Izuku Midoriya, vive
in un mondo dove tutti hanno poteri speciali (l’80% della popolazione mondiale nasce con un Quirk, così sono chiamati questi poteri) e i supereroi sono la norma. Izuku, però, è nato senza poteri, il che è un gran peccato, perché si dà il caso che il suo più grande desiderio sia quello di diventare a sua volta un supereroe.
Ma lui non si arrende e continua a sperare, spera ogni giorno che qualcosa accada e intanto cerca di fare comunque la sua parte per migliorare la vita delle persone che lo circondano e anche di quelle che non conosce, per preservare il bene e la speranza nella società. Si iscrive anche ad un’accademia per eroi, all’interno della quale tutti hanno un potere tranne lui, subendo la frustrazione derivante dalla sua condizione e le angherie dei ragazzi più sadici che si prendono gioco della sua candida speranza.
Un giorno però (allarme spoiler) succede che il supereroe più forte del mondo, All Might, si accorge della sua determinazione e del suo spirito combattivo e leale, e decide di donargli il suo Quirk.
Un manga come critica del contemporaneo
Ora, io leggo una discreta quantità di manga, e in molti di quelli che leggo o che ho letto c’è un
protagonista che possiede un’abilità che è innata, un potere che lo caratterizza e che è fonte della sua forza (si pensi a Naruto, per esempio, o al celeberrimo Goku di Dragon Ball). Certamente poi queste abilità vanno allenate, comprese, padroneggiate, risvegliate.
Però ci sono.
E quando ho incontrato per la prima volta My Hero Academia ho subito pensato – e mi si perdoni il paradosso – che fosse più ”reale” di altri. Cioè, se non altro la verosimiglianza sta nel fatto che c’è un adolescente che sogna in grande ma che non ha alcun mezzo, né reale né potenziale, per affrontare un mondo tanto complesso e pieno di forze incredibili in continuo contrasto.
E non ho potuto non pensare a me stesso e a chi, come me, durante gli anni del liceo era pieno di speranze e convinzioni ma, per forza di cose, poco concreto. E mi riferisco, nello specifico, a quelli che poi sono diventati degli umanisti, che hanno scelto di studiare la letteratura dei grandi, la poesia, le vite dei personaggi, la storia di popoli e nazioni credendo con convinzione nella possibilità di realizzare, un giorno, i propri progetti partendo da quella passione. Io dopo la laurea in Lettere e conseguente specializzazione in Italianistica sono stato disoccupato per nove mesi. Poi ho lavorato per un mese in una scuola, per una supplenza; poi di nuovo disoccupazione.
Palestra Tirocinio: umanistica disillusione
Ho ottenuto l’occasione di uno stage presso una grande casa editrice e l’ho colta, e lì davvero mi sono sentito un Izuku dentro l’Accademia degli Eroi: ero circondato da chi avrei voluto essere e da tutto ciò che avrei voluto fare. In quei mesi ho lavorato in silenzio e tentato di apprendere da chiunque, di strappare ogni segreto ed estrapolare ogni risposta da quel luccicante mestiere da eroi, tanto agognato e sempre osservato dall’esterno con ammirazione.
E da quel luogo: una redazione vera in una sede reale, fisica, con dei muri da toccare, corridoi da attraversare, scrivanie a cui sedere e computer da usare liberamente. Sono stati mesi complessi, fatti di dimostrazioni da dare, apprendimento continuo di tecniche e metodi da metabolizzare in fretta e possibilmente senza fare domande di troppo (soprattutto senza dire «Non ho capito»). Ce l’ho messa tutta, credo. Ancora mi chiedo se sia stato così, e per adesso mi rispondo ancora di sì: ho dato tutto ciò che potevo dare in quelle condizioni, con quel rimborso spese, con quella mole di novità da ingoiare e digerire senza passare per una scrupolosa masticazione.
L’amaro in bocca ha il sapore della realtà
Poi lo stage è finito e la possibilità d’assunzione è rimasta solo una possibilità, ferma lì a galleggiare
nell’etere in attesa del prossimo stagista, più bravo o più fortunato.
Dunque stage finito e carriera nell’editoria finita. Almeno per ora. Perché sì certo, aggiungere una voce al curriculum non fa mai male, ma le altre case editrici poi cercano esperienza, e per quanto uno stage possa insegnarti le basi non ti darà mai la credibilità necessaria agli occhi di chi cerca figure già esperte.
E così nuova disoccupazione, mesi di ricerche, candidature disattese e, infine, una resa – almeno parziale – di fronte alla realtà delle cose.
È infatti a questo punto che molti, quasi tutti, cominciano a valutare tutto, a prendere in considerazione offerte e candidature per lavori che nulla hanno a che fare con quanto studiato per otto anni o più, e alla fine accettano di fare mestieri che avrebbero potuto fare già a diciannove anni, appena usciti dal liceo, senza sottoporsi a un lungo e impegnativo percorso di studi (sì, perché anche studiare letteratura richiede impegno e fatica).
Quirk lavorativo: ci verrà mai donato?
Io a quel momento ci sono arrivato, o quasi. Ho accettato un lavoro, per il quale mi ero candidato (quindi per essere precisi ho cercato un lavoro), in una redazione che si occupa di telemarketing. Lavoro lì da due settimane che possono sembrare poche e magari lo sono, ma per l’umanista il tempo dei contratti lavorativi funziona come gli anni dei cani, e il precariato letterario è come una grande Stanza dello Spirito e del Tempo in cui un giorno da disoccupato ne vale cento lavorativi e un giorno lavorativo condensa ansie e pressioni di un intero anno.
E così in questi giorni mi ritrovo spesso a pensare a Izuku, al suo entusiasmo e ai pianti a fontana in cui scoppiava ogni volta che gli tornava alla mente quando da bambino sua madre gli aveva detto che non sarebbe mai diventato un eroe, e che per il suo bene avrebbe fatto meglio a rassegnarsi il prima possibile. E mi chiedo quante possibilità esistano nel mondo reale che arrivi qualcuno a donarmi un’opportunità grazie alla mia tempra e alla mia determinazione, basandosi solo su quelle, senza chiedermi esperienze pregresse, attestati di master costosissimi o un curriculum già infinito.
My Umanista Academia
A volte penso che aver scelto di studiare lettere sia stato come accettare di essere un Izuku senza Quirk per sempre, negandomi più o meno consapevolmente – spesso con tanta sognante ingenuità – la possibilità di diventare un Pro Hero, cioè uno che ha sviluppato il suo potere e ha la possibilità di vivere grazie a quello facendo l’eroe per professione.
Perché il potenziale di un umanista alla fine resta quasi sempre nascosto svolgendo quei lavori che nella maggior parte dei casi si ritroverà a dover accettare per campare e, quando va peggio, quel potenziale comincia a disperdersi, fino a perdersi.
E non so se esista un All Might per ognuno di noi. Anzi, in tutta onestà temo proprio di no.
Nessun supereroe verrà a donarci i suoi poteri.
Noi umanisti precari (e precari in generale) dovremo cavarcela da soli, restando normali esseri umani che sognano avventure fantastiche ma che devono ogni giorno adoperarsi per fare il realizzabile e, al massimo, trasformare l’improbabile in possibile.
Con impegno, dedizione, resilienza e magari anche con un po’ di fortuna, che non guasta mai.
Questo è quello che mi ha insegnato la My Umanista Academia.


Daniele Costantini
Italianista, laureato a Bologna. Al momento seguo un corso di editoria e nel frattempo faccio l’articolista e il redattore per Palin Magazine, un progetto nuovo e interessante, come Le Faremo Sapere. Nelle foto vengo sempre con gli occhi chiusi.