Varcare la soglia di una scuola per un’esperienza di volontariato e uscirne ripagati in umanità e consapevolezza. Nel mezzo un giro del mondo, attraverso le storie e i ricordi di chi ha trovato nel nostro Paese una seconda casa.
L’articolo di Valentina Palermo
Era l’inizio del gennaio 2018 quando con un pizzico di emozione varcai la soglia della scuola Penny Wirton della mia città per cominciare un’esperienza di volontariato come insegnate di italiano per stranieri. Mi trovavo in un periodo piuttosto confuso della mia vita in cui, a cinque anni dalla laurea in Lingue, continuavo ad accumulare brevi esperienze lavorative che riempivano il mio curriculum senza però darmi la stabilità che cercavo.
In quel contesto in cui i dubbi e le paure continuavano a tormentarmi, mi giunse il consiglio di una persona che lavorava nell’ambito del sociale: concentrati sugli altri piuttosto che su te stessa. Fu quel prezioso suggerimento a convincermi a intraprendere un percorso di volontariato che mi portò a fare ciò che non avrei mai e poi mai pensato di fare nella vita, ovvero insegnare.
Dall’altra parte della cattedra
Quel giorno di inizio gennaio entrai nella Penny Wirton pensando di essere io la persona utile a quei ragazzi e a quelle ragazze che provenivano da posti che facevo fatica persino ad individuare sulla cartina. In realtà furono loro ad aiutare me donandomi una straordinaria esperienza umana e permettendomi di guardare ai problemi della mia vita nella giusta prospettiva.
Si trattava della mia prima volta dall’altra parte della cattedra e per l’ansia di non esserne all’altezza avevo quasi l’impressione di aver dimenticato la mia lingua madre. In realtà era tutto molto più semplice di quanto mi aspettassi. Mi fu spiegato che in aula avrei incontrato ogni settimana una trentina di alunni che di volta in volta sarebbero stati suddivisi in gruppetti a seconda della loro conoscenza dell’italiano. Ogni gruppetto avrebbe avuto un insegnante, il quale doveva adeguare la lezione al livello linguistico della sua mini classe.
Ogni volta che iniziavo una lezione mi sentivo carica di buoni propositi e ogni volta la terminavo mi sentivo lieta di aver insegnato ai miei alunni qualcosa che sarebbe servito nella loro quotidianità. Utilizzavo l’inglese come mezzo per comunicare con coloro a cui mancava l’ABC della lingua, mentre con altri potevo tranquillamente parlare in italiano affrontando argomenti più specifici del lessico e della grammatica. L’aula si trasformava quindi in una Babele straordinaria in cui aleggiavano parole in italiano, inglese, francese e persino arabo.
Prima tappa: Marocco
Essere insegnante volontaria di italiano per stranieri non mi ha impedito di individuare presto i miei studenti preferiti. Tra loro c’era una donna marocchina sulla quarantina che parlava un italiano abbastanza corretto, ma aveva grosse difficoltà nello scrivere. Spesso chiedeva il permesso di inserirsi nel mio gruppo ed io ero sempre molto contenta di accogliere il suo sorriso gentile e i suoi occhi buoni contornati dalle rughe di chi aveva conosciuto le difficoltà e le amarezze della vita.
Una volta arrivò in aula con mezz’ora di ritardo. Io avevo già iniziato la lezione, così lei cercò di mettersi in pari copiando dal compagno a lei più vicino ciò avevo già spiegato. Purtroppo quelle lettere così diverse dall’alfabeto della sua lingua madre la stavano mettendo a dura prova. Il suo compagno, un giovanissimo ragazzo nigeriano, vedendola in difficoltà prese allora il suo foglio e si offrì di ricopiare al suo posto gli appunti. Avevo davanti a me due persone con età, provenienza, vissuto ed esperienze totalmente differenti che però stavano condividendo quel momento aiutandosi. Un gesto piccolo e fatto col cuore che per me dava un senso al mio essere presente in quell’aula.
Storie di riscatto
Adoravo anche un ragazzo senegalese di diciassette anni appena. Lo ricordo con piacere per il suo essere estremamente sveglio e ricettivo. Anzi, forse anche troppo per me che non facevo l’insegnante di professione. Durante una lezione approfittai infatti della sua presenza per addentrarmi in concetti più complessi. Non l’avessi mai fatto! Iniziò a farmi domande super specifiche che mi misero in seria difficoltà. Pensai allora ai tanti miei connazionali che di certo non conoscevano quegli aspetti della lingua su cui il mio studente del Senegal invece moriva dalla voglia di indagare.
Con lui spesso c’era un altro ragazzo proveniente dall’Egitto. Era giunto in Italia già da qualche tempo e aveva trovato un impiego come cameriere. Mi diceva sempre che quel lavoro gli piaceva tantissimo, anche perché nel suo Paese d’origine faceva il muratore di giorno e le consegne di sera, guadagnando però meno di quanto percepiva nel ristorante. Il suo avanzato livello linguistico mi permetteva di insegnargli qualche parola e proverbio in dialetto e io mi divertivo sempre moltissimo ad ascoltarlo mentre si cimentava con termini che a volte anche per me erano impronunciabili.
Italiano per stranieri: un posto nel mondo
Tra ragazzi dalle personalità brillanti e la conoscenza di storie toccanti, quel semestre trascorse lasciandomi dei bellissimi ricordi. Vidi donne di origine diversa iniziare il percorso scolastico da sole e concluderlo stringendo amicizia tra loro. Ascoltai le confidenze di ragazzi pieni di sogni e ambizioni. Mi commossi nel sentire le dure prove che avevano dovuto vivere alla loro giovane età.
Chissà che fine avranno fatto i miei alunni. Mi piace immaginare che oggi vivano una vita serena e che siano riusciti a trovare finalmente il loro posto del mondo.

Valentina Palermo
Laureata in lingue, appassionata di cinema, amante dei libri classici. Non ha ancora completamente accettato il fatto che Mr. Darcy sia un personaggio di fantasia, ma promette a tutti che prima o poi se ne farà una ragione. Oggi lavora come copywriter in un’agenzia di comunicazione e cura un blog in cui parla del suo rapporto con l’ansia. Quella sì che è una presenza reale e costante nella sua vita.