La decisione di lasciare Fisioterapia per iscriversi a Lettere non è delle più popolari, come si potrà immaginare. Ignorare le proprie predisposizioni naturali, però, implica anni di ansie e letture fantasy sotto i banchi, portandoci ad ascoltare tutti, tranne noi stessi.
L’articolo di Alessandra Terenzi
Questa è la storia del perché ci ho messo due anni a iscrivermi a Lettere.
Per due anni ho ignorato le mie passioni e le mie capacità per cercare di garantirmi un lavoro serio™. Avrei voluto che ci fosse qualcuno che mi dicesse di ascoltare il mio cuore, e che per fare calcoli e compromessi c’è sempre tempo. Nella mia storia non c’è stato… Per questo adesso vorrei essere io, il saggio adulto della situazione. Il vecchio marinaio che racconta la sua tragicomica storia e dice: “Provate a sfamarvi con quello che amate. Prima il piacere. Poi si vedrà”.
Scelta, indirizzo lavoro serio™
Ormai sette anni fa (!), quando ero all’ultimo anno di liceo classico e si avvicinava il momento di scegliere l’università, nella mia famiglia e non solo vigeva questa sostanziale suddivisione: materie umanistiche = passione; materie scientifiche = lavoro. Anche a scuola, la stessa professoressa di letteratura italiana mi diceva allarmata «Per carità, non bisogna iscriversi a Lettere! Trovati un lavoro serio!». Per quanto contestabile, quella della mia adorabile professoressa mi pare ancora oggi un’opinione piuttosto diffusa: come non ho mai sentito di un ingegnere che dovesse giustificarsi dicendo «Sogno fin da bambino di calcolare la stocastica del vento» (che poi magari è davvero il suo sogno, ma nessuno metterebbe mai in dubbio la serietà della sua scelta lavorativa), così anche noi umanisti non dovremmo dimenticarci che, oltre ad una forte e reale passione per ciò che studiamo, siamo dotati anche di capacità, competenze, conoscenze e talento. Ed è forse un crimine, tentare di fare un lavoro in cui ci sentiamo bravi?!
Purtroppo a quei tempi condividevo il parere degli adulti che mi stavano intorno. Ero anche io convinta che per il mio futuro professionale dovessi escludere Lettere, perché, avendo già scartato l’insegnamento (a detta loro «l’unico sbocco sicuro», ma per cui non mi sono mai sentita portata), le doti di scrittura, le capacità di analisi e le conoscenze letterarie non potevano certo procurarmi un lavoro serio™.
Fisioterapia, indirizzo fantasy
Così ignorai le mie naturali predisposizioni e puntai sulla facoltà che secondo l’opinione comune era la più nobile e difficile: Medicina.
Ho ovviamente fallito il test, ma non ho abbandonato l’obiettivo-brava-bambina e l’anno dopo sono entrata a Fisioterapia. Presto però numerosi campanelli d’allarme si sono attivati: la soddisfazione di aver superato la prova d’ammissione era superiore all’entusiasmo verso le materie che avrei studiato; trascorrevo le lezioni in ultima fila, a chiacchierare di libri con il mio compagno ultraesperto di fantasy. I tirocini sono stati la mia fortuna: ho capito che non ero portata per quel lavoro, e che non volevo fare una professione sanitaria solo per garantirmi uno stipendio.
La mia decisione di lasciare Fisioterapia per iscriversi finalmente a Lettere non è stata molto popolare, come si può immaginare. Se me ne pento? Solo quando confronto il mio conto in banca con quello della mia amica fisioterapista. Lo rifarei? Mille e una volte.
Quando sono approdata a Lettere, con l’animo sereno e la voglia di imparare, ho finalmente sentito di essere sulla strada giusta, dopo due anni di ansie e confusione, in cui avevo fatto tutto tranne che ascoltare me stessa.
Lettere, indirizzo competenze
I primi giorni di università, mentre il Magnifico Rettore faceva il solito incoraggiante discorso che ogni umanista si sente dire almeno un migliaio di volte al dì («la cultura è fine a se stessa e lo studio si fa per passione e non per garantire un’occupazione»), sentivo risuonare nelle orecchie un terrifico monito udito due anni prima: S’HA DA MAGNÀ NELLA VITA. Ma questa volta sono andata dritta per la mia strada.
Ora che sto concludendo la Laurea Magistrale, che ho compiuto le prime esperienze in campo editoriale e che ho chiarito i miei obiettivi professionali (più o meno), la paura di non trovare il fantomatico lavoro si è dissolta (ok, non esageriamo: diciamo ridotta). So che il mio percorso sarà un po’ accidentato e rocambolesco, a volte frustrante e spaventoso, ma so anche che in questi anni ho acquisito competenze e conoscenze che potrò applicare in diversi ambiti: editoria, pubblicità, comunicazione… Basta leggere gli altri articoli del blog, per constatare in quanti ambiti un laureato in materie umanistiche possa applicare le sue capacità.
E sottolineo capacità, non passioni.


Alessandra Terenzi
Overthinker al punto che comporre questa minipresentazione ha risvegliato angosce esistenziali mai sepolte. Provo a definirmi come una venticinquenne in ritardo di due anni sulla vita che vorrei, lettrice fortissima e fortissima nuotatrice (amatoriale…). I miei obiettivi sono lavorare con i libri e di vivere al mare.
Da un paio di mesi ho trovato il coraggio di scrivere in pubblico: ho una sorta di blog in cui blatero sparsamente di libri, scrittura e editoria: https://terenziafolio.medium.com/.