Lavoro ed equilibrio Laura Lecci

Si alza il vento e bisogna pure cercare di vivere – così diceva il poeta e pure l’animatore più amato dagli umanisti. Forse per colpa dell’afa madrilena, più probabilmente a causa di un lavoro che regala l’indipendenza ma sottrae equilibrio, la nostra protagonista fatica a trovare il refrigerio rassicurante di una vita ben impaginata… sarà che quel tempo indeterminato un po’ ci spaventa, quando non siamo nel posto giusto per noi?

L’articolo di Laura Lecci

Nell’aprile 2020 ho preso coraggio e mi sono laureata in Lingue e Letterature Straniere, in webcam. Mentre nuove disposizioni prendevano spazio nelle nostre vite minacciate dal Covid e l’equilibrio precario di tante esistenze veniva compromesso, una cosa sola rimaneva esattamente uguale a prima: trovare lavoro.

Quando a maggio 2020 si è aperta l’opportunità di stage per una casa editrice, ho pensato che sarebbe stata la svolta, ma l’offerta era vaga e una frase in grassetto segnava già le mie future maledizioni: assistenza al cliente. Ho passato l’intero anno a suggerire password, a fare lo spelling di ogni singola lettera a causa dei sistemi inaffidabili.
Negli ultimi dieci mesi ho ripetuto gli stessi movimenti, ma da un altro paese e con un contratto indeterminato, così non posso più lamentarmi.

Madrid Mon Amour

Da quando vivo in Spagna molti credono che passi le mie giornate al lato di un chiringuito o in un costante stato poco sobrio; è buffo, ogni volta che informo i clienti di rispondere da Madrid le reazioni sono sempre di stupore, per il mio accento italiano, ovviamente. Altri preferiscono logorroiche inquisizioni sulla situazione politica italiana, oppure, flirtano. Secchi.

Certo, progettavo un viaggio all’estero, qualunque cosa pur di fuggire dai confini italiani e dai contratti stage di 6 mesi (eventualmente prorogabili); eppure le mie aspettative estere sono rimaste impagate. Linguisticamente e professionalmente. Cercavo nel lavoro un po’ di equilibrio, mentre ora sono impiegata in una multinazionale mangiasoldi per pagarmi l’affitto e le sedute psicoterapeutiche del martedì mattina. Oltretutto le attività lavorative si svolgono in lingua nativa.

Destino a tempo indeterminato

La scelta di abbandonare il mio soffitto milanese è stata presa in un pomeriggio di giugno, mentre mi avviavo verso la linea M3 di Milano. In un giorno ordinario qualunque può succedere che un evento diventi il risultato di energie che si uniscono. E gli atomi di cui è composto il nostro corpo materiale lo intuiscono, è un fenomeno inspiegabile.

Con un italiano più instabile della mia esistenza lavorativa, una voce femminile mi chiama dalla Spagna e mi spiega i termini e condizioni dell’offerta: contratto indeterminato! Il traffico di Milano si ferma, Corso di Porta Romana rimane in ascolto: “Accetto la proposta”. L’accendiamo, forse ho conquistato un po’ di equilibrio e un lavoro.

Quando ho ricevuto la mail di congratulazioni non potevo ancora immaginare quello che mi avrebbe atteso. La mia preoccupazione in quel momento era trovare un modo di comunicarlo a mio padre, un uomo abitudinario e già abbastanza sconvolto dalla vita. “Che alternative hai figliola?”.

I giorni seguenti sono stati una corsa contro il tempo: i saluti, i documenti, la seconda dose di Pfizer. Il 12 luglio ero atterrata a Madrid. Il giorno prima l’Italia aveva battuto la Spagna agli Europei di calcio 2021.

Natura morta con ragazza al computer

Il 19 sedevo di fronte a uno schermo nero, sola, nella mia nuova camera. Lo schienale della sedia duro come il pane raffermo. Avrei dovuto lavorare da remoto, questo tra le condizioni. Il caldo di Madrid d’estate è paralizzante: nelle prime ore del mattino sei in grado di sentirti viva grazie al venticello gentile che soffia dalla finestra, ma verso mezzogiorno, si scopre traditore e trasforma le vie in torrenti di sudore.

In tutto questo, il lavoro, con i suoi ritmi insostenibili e disumani, ha fatto sfumare qualunque speranza di equilibrio mentale: due mesi di training e altri 30 giorni per rientrare nei target dell’azienda e certificarsi. Tre gli obiettivi da raggiungere: trascorrere non più di cinque minuti con i clienti, far sì che non richiamino entro sette giorni e ottenere solo surveys eccellenti. Al 100 si preferisce la lode insomma. Eravamo partiti in 14 e siamo rimasti in 7. I più furbi sono scappati prima. Noi codardi abbiamo scelto una morte lenta ma certamente più remunerata.

Perché è questa l’unica ragione se ancora scrivo su un pc che per la prima volta ho potuto permettermi da sola. I primi mesi sono stati pieni di sofferenza e pianto, rifiutavo l’immagine di una luminosa natura morta con ragazza al computer” (cit.). Disprezzavo il concetto di grande famiglia che l’azienda voleva promuovere sulle copertine dei magazine o nelle homepage dei loro siti.
Sono stata una figlia ingrata e ribelle fino a quando non ho incontrato delle priorità: non sarebbe stata l’azienda a cacciare me, sarei stata io padrona di questa scelta. Sono arrivata fin qui dicendo che “questo mese sarà l’ultimo”.

Lavoro in equilibrio

È vero che nelle multinazionali non sei altro che un numero che scorre sul loro tabellone e se non ti classifichi come top performer allora sei un walking dead; ma non solo, la conseguenza di tale logica sbriciola il terreno sotto le piante dei piedi e rischi di venire ingoiato da un profondo senso di inettitudine che, nel frattempo, annebbia il futuro.

Ma fin qui tutto regolare, nulla di preoccupante, sarebbe potuta andare peggio dopotutto, dicono. Di cosa ti lamenti?

È lo standard della vita moderna che richiede di adattarsi alla richiesta di un mercato usuraio,  dunque siamo noi quelli fuori posto. Ora, non voglio soffermarmi su inutili inquisizioni, come fanno alcuni clienti, ai lunghi discorsi preferisco dire che so di non sapere e tappare rubinetti gocciolanti.

I bilanci li facciamo tutti però e dopo un anno di difficoltà qualche rivincita sul lavoro me la sono presa. Ho scavato un tunnel dietro ai sorrisi telefonici impostati e predefiniti dall’azienda e adesso coltivo nuovi spazi d’avventura. Alla psicologa ripeto spesso che l’importante è sapere che avremo sempre delle scelte possibili da fare; i sensi di colpa saranno sempre figli illegittimi non da negare ma da saper riconoscere e a cui dare una risposta per poter andar avanti.

Nessuna morale, nessun lieto fine, personalmente non mi appartengono. Rispondo al telefono ogni giorno con la stessa intonazione, lo stesso peso ma consapevole di poter cambiare le coordinate sul tracciato. E questo per ora mi basta.

Laura Lecci

Nata nel leccese, ma cresciuta tra Egitto e Libia fino all’età di 17 anni. Subito dopo, trasferita e adottata dalla provincia di Milano, dove ha ottenuto la laurea magistrale in lingue e letterature straniere. Ora passa di stanza in stanza per i barrios di Madrid.

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