stagista umanista

Dai bagni da verniciare alle tele da dipingere, nel mezzo un nuovo pacco di pennelli. Un’immaginaria parabola professionale di Frida Kahlo scomodata per assicurare che “stagista” e “umanista” non solo fanno rima, ma funzionano pure bene insieme.

L’articolo di Davide Lioia

Succede che l’altra mattina sono alla stazione, in attesa di un treno che non sono precisamente sicuro arrivi, per recarmi come un mare di altri pendolari da casa al lavoro, parzialmente intontito dal sonno e parzialmente riportato alla vita da una piccola giara di caffè (cosa che mi rende lo sveglio di Shroedinger, finché non controllo sto dormendo e sono sveglio al tempo medesimo). Poiché ho accumulato circa cinque minuti di vantaggio sul treno – o forse è semplicemente in ritardo, non sono sufficientemente sveglio da capirlo – metto mano allo smartphone nel tentativo di svegliare – o folgorare definitivamente – il cervello. Apro Whatsapp, ci sono messaggi di qualcuno che mi ha scritto in serata, ci sono messaggi delle persone di quel blog ganzo che spiega come mai gli umanisti, oltre che animali rari, sono anche perni della società civile, e possono condividere le loro esperienze.

Leggo con fatica – il caffè inizia a metabolizzare – leggo qualcosa che potrebbe essere una minaccia o una cordiale richiesta di un altro articolo, dopo il precedente, connetto progressivamente qualche sillaba, rispolvero la medaglia che avevo vinto alle elementari nelle gare di coniugazione verbale, comprendo il testo inviato, capisco, è una richiesta di altri articoli, magari sul tema degli stage per i giovani con formazione umanista.

Pelle blu modello Trenord

Nel frattempo arriva il treno, salgo, mi accalco con un tizio in completo blu a-là Obama e un paio di studenti in felpa più storditi di me, mordo lo schienale di un posto per marcare il territorio, riesco a sedermi (impresa non facile alle 8.01 del mattino lombardo), mi ricompongo, mi rendo nuovamente azzimato, riprendo il cellulare, rileggo, risento il vocale incluso, Ciao allora potresti rifare un altro articolo, ti va, magari parliamo di stagista umanista hai qualche esperienza per noi, fammi sapere ciao. (La redazione declina ogni responsabilità nella trascrizione di quell’audio, nei limiti di quanto sonno, rumore del treno e stordimento consentono).

Mi affloscio sulla poltroncina di pelle blu modello Trenord, con quella pelle di plastica che anche strisciandoci contro non fa rumore e ti fa capire che sia solo un agglomerato di polivinili ed altre cose che non so – non sono un chimico io, mi affloscio e mi concentro su cosa scrivere circa gli stagisti. Scriverei per esempio che anche io ho cominciato così, entrando giovane, bello, pieno di speranze e conoscendo un sacco di parole nel mondo delle startup giovani, dove tutti quanti beneomale hanno una formazione economica, moderna, smart, business – e io che parlo in italiano corretto corrente galattico, come diceva la mia prof di filosofia, che ci faccio qua?

Frida Kahlo stagista umanista: bagni e pennellessa

In effetti non ci facevo niente, volevo cercare di lavorare come copy, che poi è abbreviazione di copywriter, che poi è anglicismo per scrivo io roba per gli altri. Ma niente, nada, niet, zero proprio, verboten. Allo stagista il copy non si fa fare. Lo stagista, soprattutto se umanista, sta lì e impara. Impara a correggere le bozze altrui che fanno pena, impara a mandare email in slang giovane, impara a non imparare un tubo e sprecare le ore di lavoro giornaliere a guardare i professionisti mentre fanno cose.

Mi sentivo come se avessero chiesto a Frida Kahlo di tinteggiare i bagni con la pennellessa. Non perché fossi particolarmente geniale – o forse sì ed è solo ripicca camuffata – ma perché per lo stagista umanista c’era poco posto. Così tirai dritto e come raccontavo ho cambiato giro, mollando la parola scritta per quella orale. Passano gli anni, i mesi, i giorni e mi ritrovo fuori anche dai lavori come commerciale, come account manager e come tutti quei ruoli lavorativi lì, i motori di vendita delle aziende.

Mi ritrovo, senza una spiegazione precisa, contemporaneamente in stazione e vicino al mio nuovo posto di lavoro. Scendo dal treno, sia da quello Trenord che da quello dei ricordi, e vado verso il nuovo posto di lavoro. Ripenso al nuovo posto di lavoro, e rifletto sul fatto che nel nuovo posto di lavoro ci sono due caratteristiche: è nuovo – non so se l’ho già detto, e dovrò occuparmi io degli stagisti.

L’importanza di una defenestrazione

Io.
Io me.

Quello che dovrebbe essere “responsabile” di qualcuno, ma che è “irresponsabile” di qualcuno. C’è già uno stagista, è nato umanista anche lui, niente economia, niente ingegneria, niente robe coi numeri. Formazione di lingue, studi politici. Mi va bene che è in azienda da prima di me, risparmio nella formazione – anche perché io come formo uno stagista, non sono mica un professore o uno con una preparazione da professore… ah no, aspetta.

Però funziona subito. Ripenso a quando ero stagista io, il caffè ha finito di fare effetto, e ripenso a come chi nasce umanista preferisca continuare ad esserlo. Meme culturali. Battute prese da libri e film. Riesco a farci stare un riferimento alla defenestrazione di Praga e mi capisce. La defenestrazione di Praga, per me che una volta ho detto “esatto” in azienda e mi chiesero “in che senso” (intendo il participio). Miracolo, Frida Kahlo torna a dipingere e i cessi li vada a verniciare qualcun altro, qui c’è uno staff umanista da formare. Si scrive in italiano corretto, si parla come si deve, il servizio dell’azienda prende una piega inaspettatamente forbita.

Un pacco di pennelli nuovi

Poi arriva la sorpresa, Frida riceve un pacco di pennelli nuovi e la richiesta devi cercare un secondo stagista, curi tu le selezioni dai ti vaaaa? Così scegli qualcuno che ti piace, tanto deve lavorare con te, scegli fra gli studenti qua di Almalaurea. Ricordo Almalaurea con un misto di orrore e fastidio, probabilmente Lovecraft ha immaginato Nyarlathotep pensando ad Almalaurea, perciò penso a come salvare qualcuno da lì. Riprendo il santino di Alfieri che mi ricorda di scegliere la persona giusta, che siamo destinati ad egregie cose. Inizio a pensare, sceglierò solo ragazzi con formzione umanista. Primo colloquio: va male, mi sbattono il telefono in faccia. Va bene, rifacciamo. Mi suggeriscono di prendere appunti, faccio praticamente un registro del professore, mi guardo allo specchio e penso a cosa sono diventato, forse c’è modo di sfuggire e non essere il mr. Hyde degli stage.

Secondo giro, persona al primo di magistrale in lingue, funziona ma rifiuta. Prova pratica scrivimi una lettera commerciale per favore, ah caspita è perfetta c’è anche il Le maiuscolo come piace a me, sei dentro guarda ah come cerchi altro ma non dirmi così. Terzo stage, ambiente artistico e belle arti. Bravo, ma troppo artistico, prova pratica anche per te, mi parli in inglese del tuo ambiente artistico oh God why what are you talking about ok, we’ll keep in touch.

Uscita di Roncobilaccio

La disperazione, forse ho capito perché chi assume non ama gli stagisti umanisti. Non dispero, Alfieri mi incoraggia e pure Frida, se ce l’ho fatta io a dipingere tu non riesci a trovare uno, mi dice. O mi avrebbe detto, ne sono certo, se l’avessi conosciuta. Terzo colloquio, per te simuliamo un contatto con clienti maleducati, niente formalissima ed educata, per questa gente ci vuole un registro linguistico con il 37% in più di cattiverie, mi spiace no. Infine quarto giro, formazione in lingue.

È giovane, vuole usare quello che ha studiato. Epifania, una persona umanista a cui posso far usare le competenze umaniste. Mi salvo, non cado nell’abisso dell’utilità commerciale, anzi metterò a fuoco ciò che sa per un fine commerciale. Il mio stesso percorso, forse, ma con qualcuno che guidi, ed è un trionfo. Team umanista completo. Qualcuno che guida dei ragazzi umanisti nel mondo del lavoro, qualcuno che possa dar loro una mano, come Virgilio ma con Google Maps che ci manca solo, io all’Inferno mi ero perso e ho dovuto chiedere, all’uscita di Roncobilaccio poi al massimo ti orienti.

Morale: amici recruiter, risorse umane, responsabili della formazione, lorsignori aziendali, puntate sugli umanisti. Non ve ne pentirete, avrete persone puntuali, acculturate, distinte, e che potranno spiegarvi come la defenestrazione di Praga sia stata molto importante.

Davide Lioia

È il John McClane del latino cristiano, il Leon Montana degli antropologi, ma ora ha smesso, insegnare era una missione troppo dura. Crede fermamente che Alfieri possa essere un personaggio da film d’azione. Parla di se stesso in terza persona. Probabilmente è l’unico che da adolescente ha letto Manzoni senza costrizioni. Ama leggermente le iperboli, le esagerazioni, le entrate in scena drammatiche e le presentazioni drammatiche con esagerazioni e iperboli.

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