Prima lettere classiche, poi antropologia, infine account manager. Se la parabola della nostra vita, soprattutto quella professionale, può sembrarci bizzarra, è bene sapere che spesso dipende solo da chi ci protegge tra le pieghe della giacca, nella tasca del portafogli.
L’articolo di Davide Lioia
Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un blog, si chiama come la classica risposta che mi danno ai colloqui da una mezza dozzina di anni a questa parte; scrivo loro, mando due righe, si incuriosiscono. Sono una community di ex-letterati, mi spiegano, una categoria di persone equiparabili ai reduci di guerra, quelle persone che a rientrare nella normalità fanno un po’ fatica, ma non perché sono rimaste traumatizzate o ferite, ma perché la quotidianità – a noi letterati – rimane un po’ stretta. Perché per cinque incredibili anni viviamo in un mondo tutto nostro, fatto di passato e di futuro contemporaneamente, di pensiero e di pagine, e poi improvvisamente finisce, come il punto in una frase, tipo così.
Un antropologo nel 2020
Era il duemila-X, con un’ultima cifra indistinta come il 199X di Ken il Guerriero, e io stavo finendo l’università, mi laureavo in lettere classiche, o antiche che dir si voglia, chiudevo un ciclo con più esami di latino e greco che zeri nel mio conto in banca – molti molti di più. Iniziavo anche la magistrale e finivo tutto il ciclo con una laurea in antropologia, tanti nuovi autori da leggere, un’ottica diversa del mondo e… basta.
Improvvisamente – musica classica in crescendo – mi trovo sull’orlo del baratro nietzscheano: dove può andare un antropologo, nel 2020 digitale e moderno, dove posso andare a raccontare culture straniere o le loro tradizioni o le loro letterature?
Scrivi bene, si vede che hai studiato lettere
Il bello di lettere è che al corso di laurea ci si conosce tutti, è un po’ come un vicinato di svitati dove ciascuno ha la sua fissa, autore, pallino, il suo modo di stare fuori dal mondo. Li chiamo tutti, chiedo loro dove potremmo andare a sbattere la testa, che per ora le borse di studio sono finite; siamo in tredici. Uno o due tentano la sorte e vanno all’estero per perfezionare gli studi; uno è livornese, va a studiare a Pisa, ci terrebbe a sottolineare che anche lui si considererà un espatriato. Un altro va in Grecia, gli altri rimangono in università. Io sono indeciso; ho un lavoretto, per i soldi della pizza, rispondo via mail ai clienti di un’azienda. Il mio responsabile mi scrive sempre, sei bravissimo dice, scrivi proprio bene dice, si vede che hai studiato lettere dice, sembri uno di quegli autori che usano cose come il flusso di coscienza, dice (come ora), quando usi il discorso diretto e indiretto mescolati poi sei incredibile. Dice.
Una questione di santini nel portafogli
Decido di provarci. Preparo un bel curriculum, “so scrivere bene”. Parlo in italiano corretto, scrivo in modo elegante. “Espressione italiana”, metto. Mi contatta una startup italiana, piccolini, carini, cerchiamo qualcuno che risponda ai clienti via mail, qualcuno come te, iniziamo con uno stage.
Vado via dopo quattro mesi.
Avevo detto “La ringrazio del contatto” a un uomo calabrese di sessantacinque anni, per loro avrei dovuto scrivergli “grazie della mail, bro”. Apro il portafogli, guardo il mio santino con la faccia di Vittorio Alfieri, pensa al titanismo, mi dice; lascio perdere, ricomincio da capo. Altra azienda, sono tedeschi; devo rispondere ai clienti in modo educato, sobrio, rigore e qualità tedesca. Tolgo Alfieri dal portafoglio, lo giro come la foto della moglie quando vai dall’amante, metto Goethe.
Quasi come Andrea De Sanctis
Gli piace il mio stile. Mentre lavoro mi sento come l’antropologo di “Smetto quando voglio”, uguale. Aggiusto il linguaggio. Buonasera a Lei, salve. Ciao caro. Gentile cliente. Egregio dottor. Ad un certo punto mi richiama un responsabile, mi chiede di scrivere i manuali d’uso e tutte le procedure aziendali, dei manuali veri per tutti gli altri dipendenti. Bacio il santino di Goethe, preparo tutto. Bel lavoro bravo, potremmo affidarti anche la cura di un portafoglio clienti che ne dici come ti senti nella vendita eeeeeh? Mai venduto neanche le figurine nel cortile all’asilo. Dai provaci, hai parlantina. Buongiorno a Lei, sono Davide Lioia, account manager, sono a proporLe i nostri servizi. Ma dove hai imparato a scrivere così, a parlare in questo modo? No niente, mi piace leggere e scrivere, sai l’università. È successo tutto molto in fretta, devo dire, non me lo sarei aspettato. Ed eccomi qua, a riassumere tutto per quel blog dove si parla di letterati in fuga, o nel mio caso in riciclo.
Account manager, la professione del futuro
Qualche mese dopo incontrai la mia prof di filosofia del liceo. Una persona micidiale, una sua interrogazione e mezz’ora di torture in Vietnam si equivalgono. Serissima, esperta, ma spietata. Mi chiede come sto, cosa faccio nella vita, se sto studiando o cosa. Faccio l’account manager, racconto, gestisco “il cliente”, un po’ strano ma mi riesce bene. «È la professione del futuro», mi dice lei, «e poi tu sei sempre stato strano, per come scrivi».


Davide Lioia
È il John McClane del latino cristiano, il Leon Montana degli antropologi, ma ora ha smesso, insegnare era una missione troppo dura. Crede fermamente che Alfieri possa essere un personaggio da film d’azione. Parla di se stesso in terza persona. Probabilmente è l’unico che da adolescente ha letto Manzoni senza costrizioni. Ama leggermente le iperboli, le esagerazioni, le entrate in scena drammatiche e le presentazioni drammatiche con esagerazioni e iperboli.