La gavetta del letterato correttore di bozze è piena di insidie, l’affacciarsi al mondo del lavoro uno shock inevitabile. Fra strani virus e animali esotici serve fare spazio ai compromessi.
L’articolo di Camilla Faccini.
Durante l’ultimo anno di università vinco una borsa di studio per preparare la tesi all’estero. Direzione Bodleian Library, Oxford, dove mi attende un manoscritto della fine del XIII secolo che gode di scarsa considerazione internazionale ma che ero pronta a portare alla ribalta.
Mentre passo le mie giornate a studiare carte di pergamena con la lente d’ingrandimento, persa tra miniature medievali, scritture da interpretare e un’importante dose di polvere, inizia a farsi strada la possibilità di un piccolo lavoro da remoto per un gruppo editoriale. Lacrime agli occhi, giubilo in tutto il regno.
Sarà una correzione di bozze in lingua, mi dicono.
Uhm, va bene. In realtà mi sentivo davvero pronta a sciorinare cinque anni di studio sulle innumerevoli accezioni del lessico della lingua italiana, ma mi dico che sarà rimandato alla prossima volta. D’altronde sono in Inghilterra a studiare un testo scritto in francese medievale, ce la posso fare.
Sarà un testo sulle malattie dei pomodori, aggiungono.
Uhm. Io però ho fatto lettere. Carducci, Machiavelli, Boccaccio. Tommaso Campanella, Virgilio Malvezzi, Torquato Accetto, non so se mi spiego. Speculazioni letterarie, assiomi linguistici, rigide regole filologiche. Lunghi tomi teorici, infinite discussioni su quanto possa incidere la posizione di una virgola nella resa stilistica di un sonetto, per non parlare dei madrigali. Correttore di bozze di pomodori. Sono ferita nell’orgoglio ma accetto.
La lezione dei pomodori
Tra un Alfalfa mosaic virus, le avventure della mosca bianca degli orti, all’anagrafe Bemisia tabaci, e un numero imprecisato di strani termini scientifici, mi sono resa conto di una cosa. Il problema di noi letterati, faccio autodenuncia, è che negli anni universitari impariamo a porci nei confronti della carta stampata come lettori, interpreti o studiosi, mai come futuri lavoratori di settore. Quando ci laureiamo ci sentiamo pronti per le edizioni critiche della BUR, per gli Adelphi di nicchia, per quelle edizioni opera omnia di Garzanti da 30 euro a tomo che compriamo principalmente per dovere morale ma che abbandoniamo prontamente sullo scaffale.
Così quando ci affacciamo al mondo del lavoro lo shock è inevitabile: non solo scopriamo di non essere gli unici lettori a sostenere annualmente il mercato librario ma realizziamo che esiste un mondo di carta stampata declinato in tantissime sfumature nelle quali il laureato in lettere trova naturale collocazione, guadagnandoci tra le altre cose in disillusione. Quando abbiamo il primo contatto con i numeri le gambe un po’ cedono, viviamo il dover dare risposte al mercato come un vilipendio alla Letteratura, i libri degli influencer ci fanno venire l’orticaria.
Sembra incredibile, ma è un trauma che si supera velocemente. Non fraintendiamoci: sogno tutt’ora di vedere il mio nome sulla copertina della nuova edizione delle Operette Morali di Leopardi, ma so che questo può aspettare ancora un po’. Tra sogno e realtà, forse, c’è ancora spazio per i compromessi. E il mio orto, adesso, cresce rigoglioso.