Anche nella placida afa di una giornata di mezza estate, *l* laureat* umanista non può permettersi di rilassarsi: il crudele mondo del lavoro è sempre dietro l’angolo, in agguato, pronto a sfoderare tutti i suoi trucchi pur di presentarti un’offerta indecente.

In questo articolo, l’autrice Valentina Palermo, ci racconta il ricordo di un suo colloquio che, forse, sarebbe meglio definire incubo.

Un articolo di Valentina Palermo.

Se nella vita c’è qualcosa in cui ormai posso ritenermi un’esperta, è sicuramente il sostenere colloqui.

Dal giorno in cui mi sono laureata, nel lontano 2013, sono passata sotto le grinfie di decine e decine di recruiter differenti. C’è stato chi aveva un atteggiamento fin troppo amichevole ed entusiasta, chi assumeva un’aria talmente istituzionale da farmi ripiombare nell’incubo degli esami e chi, non avendo un ufficio, mi ha dato appuntamento tra i tavolini di un bar. Poi ci sono stati i colloqui telefonici, i colloqui via Skype o Zoom con annessi problemi di connessione e, ovviamente, non sono certo mancati i colloqui per le offerte truffa, quelle che sembravano troppo belle per essere vere e che infatti alla fine si sono dimostrate solo degli specchietti per le allodole.

Oggi vorrei soffermarmi su un colloquio in particolare, relativo a un annuncio che, sulla carta, sembrava di tutto rispetto, ma che nei fatti si è rivelato un’autentica delusione.

Signore e Signori, ecco a voi il mio colloquio da incubo.

AAA Consulente didattico cercasi

Correva l’anno 2017, avevo appena terminato la mia prima avventura in un call center e mi accingevo a cercare un nuovo lavoro in cui non fosse previsto l’essere mandata a quel paese quotidianamente. Tra i pochi decenti, trovai un annuncio che sembrava fare al caso mio: “Cercasi consulente didattico per ente di formazione”.

Un pochino di esperienza nel campo della formazione ce l’avevo pure, cosa aspettare? Provai così a candidarmi per la posizione. Pochi giorni dopo venni contattata per sostenere un primo colloquio e pensai subito che (finalmente) l’occasione di trovare un impiego stabile fosse arrivata anche per me.

Carica di speranze, mi recai all’appuntamento in un afoso pomeriggio di fine luglio. Quel giorno, ricordo bene, mi sentivo insolitamente ottimista, tanto che riuscii a sostenere la chiacchierata con l’esaminatrice in modo brillante e dimostrando anche una certa spigliatezza.

Proposta indecente

Terminata la fase conoscitiva, passammo a parlare del corrispettivo economico. Ciò che mi sarebbe stato conferito era un rimborso spese di 500 euro a fronte di un impegno lavorativo full time di 40 ore settimanali.

Mi cadde il mondo addosso.

Io, che allora non avevo ancora mai sentito parlare di contratti di tirocinio formativo, mi sentii vittima di una proposta indecente e offensiva. Mentre annuivo con poca convinzione, cercavo di fare mentalmente il conteggio della paga oraria, non riuscendo però a terminare il calcolo sia per lo shock delle cifre, sia a causa della mia propensione non proprio matematica. 

Tornata a casa, feci una rapida ricerca sui tirocini e verificai che si trattava di contratti che non prevedevano alcuna tutela e in cui non venivano versati contributi. Avrei avuto diritto a un tutor che mi avrebbe insegnato il mestiere, certo, ma mi domandavo se per imparare a fare un lavoro che a grandi linee avevo già svolto precedentemente presso un altro ente, avessi realmente bisogno di sei mesi di formazione full time. I dubbi erano tanti e, da perfetta indecisa quale sono, rimasi titubante sul da farsi. Stabilii quindi che non ci avrei più pensato fino a un’eventuale seconda chiamata.

“Dovresti anche ringraziarci…”

E la chiamata arrivò.

Meno di ventiquattr’ore dopo il primo colloquio, la segretaria dell’ente mi ricontattò per fissare un nuovo appuntamento con la recruiter. Cosa che alla fine decisi di accettare.

In quel secondo colloquio venni sottoposta a domande più tecniche e specifiche. Per tutta la sua durata mi morsi più volte la lingua per evitare di lasciarmi scappare qualche poco simpatico commento a proposito del contratto proposto. E ci riuscii anche, finché non mi giunse la domanda diretta: «Cosa ne pensi dell’offerta che ti abbiamo fatto?».

Fu quello il momento in cui esplosi in un’eruzione pliniana e la verità fuoriuscì con potenza: «Sinceramente, mi sembra un po’ misera rispetto al lavoro che dovrei fare».

La recruiter mi guardò come se avessi messo l’ananas sulla pizza in un ristorante napoletano.

«Ma come? Ti insegniamo un mestiere, ti facciamo formazione e poi ti assumeremo a tempo indeterminato. Dovresti anche ringraziarci».

Ecco, quello fu il momento in cui vidi rosso. Sorvolai su quel “Ti assumeremo a tempo indeterminato” perché una promessa così poco credibile non aveva bisogno di commenti, ma ribattei piuttosto sul resto: «Scusi ma quindi mi sta dicendo che io in sei mesi farò solo formazione e affiancamento? Non lavorerò affatto?».

Alla sua risposta affermativa persi qualsiasi traccia della mia proverbiale timidezza:

«Ma ho davvero bisogno di sei mesi full time per imparare a fare una cosa che ho più o meno già fatto?».

Seguì quindi una risposta generica pronunciata anche con abbastanza spocchia:

«Ma in questo campo non si smette mai di imparare».

Mai dimenticare il proprio valore

È vero, non esiste un solo campo in cui si smetta di imparare. Bisogna però cercare di dare valore al proprio lavoro e al proprio potenziale ed essere certi di ricevere sempre un trattamento congruo al proprio impegno. Un tirocinio può essere un’ottima occasione per apprendere un nuovo mestiere, ma vanno applicati dei criteri giusti per entrambe le parti. Rimbocchiamoci le maniche e non smettiamo di fare esperienza (e colloqui), senza mai dimenticare il nostro valore.

Non c’è bisogno che ve lo dica: in quell’occasione non ricevetti una terza convocazione.

Ah, e se ci tenete a saperlo, quell’annuncio rimase attivo per mesi e ciclicamente tornava a campeggiare sui siti di recruitment. Forse, non sono stata l’unica a pensare che non fosse poi un’offerta così vantaggiosa.

Valentina Palermo

Valentina Palermo

Laureata in lingue, appassionata di cinema, amante dei libri classici. Non ha ancora completamente accettato il fatto che Mr. Darcy sia un personaggio di fantasia, ma promette a tutti che prima o poi se ne farà una ragione. Oggi lavora come copywriter in un’agenzia di comunicazione e cura un blog in cui parla del suo rapporto con l’ansia. Quella sì che è una presenza reale e costante nella sua vita.

I Laureati
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