Spesso è difficile capire cosa valga la pena provare a pubblicare. Ecco quindi una “Casistica del primo romanzo da studente in Lettere”
L’articolo di Alfredo Bruno
In qualche modo, ho sempre pensato di poter scrivere un romanzo. Non rileva il fatto che ancora non ci sia riuscito.
Negli anni di Lettere ho visto colleghi autoprodursi nelle copisterie di via Zamboni, intercettare l’interesse di quelle case editrici che stampano a botte di 100 libri, uno o due arrivare anche alle Grandi, che pubblicano libri “seri”.
Mai una volta che tu riesca a guardarli con ammirazione, piuttosto vai a cercare la magagna.
Io a Lettere ci sono arrivato con una grande passione per la lettura e poco altro, mentre ne sono uscito con una Moleskine piena di trame, progetti letterari, una sola poesia e decine di incipit. Nemmeno un racconto sono riuscito a concludere in 5 anni.
Da una parte la cosa mi irrita, perché continuo a vedere su Facebook qualche vecchio collega di studi che le sue 50 pagine riesce a metterle insieme e pubblicarle; dall’altra però penso che questa non sia solo la storia del mio primo romanzo, ma anche quella di tanti altri autori in potenza, che si fermano sempre per pudore, mai per incapacità.
Allora veniamo a considerare alcune regole generali per la corretta scrittura di un romanzo negli anni dell’università e compulsiamo la casistica del primo romanzo.
Genere: camminando nel corridoio di questa borgesiana biblioteca dei laureandi, vorresti dire che tutti i generi sono rappresentati, ma sai che non è così: folta rappresentanza di romanzi psicologici, storie di impegno politico nel post-Seconda Repubblica, anatomie spietate della società borghese, tutto questo abbonda; mai una volta che un laureando in lettere voglia scrivere un buon giallo o un solido horror… E poi, tutti hanno scritto almeno una poesia.
Ambientazione: quasi sempre è il Nord Italia, sarà perché abitualmente a scrivere è un fuorisede. Ad esempio, anche se nato e cresciuto in Abruzzo, almeno una ventina di frammenti li ho ambientati a Milano; come se a Milano si pensasse meglio o si vivesse più intensamente. Poi ovviamente c’è la Bassa, con la nebbia in inverno. Un classico.
Protagonisti: nella gran parte dei casi, un’abbondanza di prima persona singolare, perché ogni storia è in fondo il romanzo di formazione dell’autore. Il protagonista intercetta volta per volta uno studente di filosofia che lo stravolge, un professore scapigliato che lo illumina, un movimento studentesco che lo coinvolge. Peregrinazioni varie e conclusione incerta: avrà davvero abbandonato il sogno di una vita al limite, per accontentarsi della villetta bifamiliare?
Stile: franto. senza maiuscole. punti senza mai una virgola. bukowski. In alternativa, affollamenti di subordinate baricchianamente barocche. Dove poi i colleghi si divertono a scovare gli errori di consecutio. Stronzi.
Temi: qui in fondo si esprime la migliore varietà. Raccontare se stessi, ma anche storie di altri, storie immaginarie, è un’operazione difficile e come tale merita del rispetto. Solo, non cadiamo nella tentazione di pensare che avendoci messo molta fatica, varrà la pena darsi alle stampe.
Ecco, una buona conclusione per questa casistica del primo romanzo: fate come me, scrivete il vostro primo romanzo negli anni dell’università e poi dimenticatelo. Il secondo sarà migliore, se ci sarà.