Buona conoscenza del pacchetto adobe

Una buona conoscenza del pacchetto Adobe è una competenza a cui l’università non ci prepara. Ma ne abbiamo bisogno per essere umanisti oggi.

L’articolo di Alfredo Bruno.

In principio erano i WordArt. Poi PowerPoint 2003 con lo sfondo monocromo e le animazioni (infiniti tentativi di mettere la musica in sottofondo). E poi non ho più smesso, tanto che oggi un particolare angolo del mio CV ostenta fastidiosamente la dicitura: “Buona conoscenza del pacchetto Adobe”.

Questa è la mia memoria difensiva, trasmessa al tribunale del buon gusto.

In fondo sono solo una vittima di Paint

E così, partendo dai documenti di Word che simulavano collage dadaisti, a 18 anni avevo al mio attivo un portfolio di video-del-diciottesimo (al limite del documentario etnografico), locandine da oratorio, fotomontaggi satirici politicamente engagé. Erano situazioni divertenti in cui cimentarsi, mi divertivo e in qualche modo avevo già capito che gli altri non facevano molto caso alla fattura delle immagini: piuttosto amavano la sensazione di vedere su carta la propria idea. Tuttavia desideravo fare di meglio ed ero convinto che a contatto con l’arte, la tradizione e la disciplina universitaria la qualità del mio lavoro avrebbe spiccato il volo. Poi arrivai a Lettere.

Mi iscrissi a tutti i corsi di storia dell’arte sulla piazza, storia del cinema, perfino estetica filosofica. Ero sinceramente fiducioso in una trasmissione per osmosi di tanta bellezza e un po’ ci speravo che qualcuno mi avrebbe spiegato almeno come fare un manifesto decente. Rimasi deluso. Spoiler alert: Kant e la Critica del Giudizio non sono stati d’aiuto.

Buona conoscenza del pacchetto Adobe: una conquista

Quando sei un laureando in lettere, ogni situazione sembra esigere una degna locandina rappresentativa e di situazioni se ne creano a decine.

L’evento di raccolta fondi per il Kosovo, la pagina Facebook dedicata alle citazioni  poetiche di Alessandro Tassoni, la retrospettiva sull’opera dimenticata di Fabrizio Clerici. Non basta scriverlo in Helvetica su un foglio bianco, hai tremendamente bisogno di impaginarlo artisticamente.

Eccoci arrivati al punto fondamentale: la teoria studiata non bastava, era pensata per un altro tempo; le necessità premevano, c’era il rischio di non partire mai. Soldi per professionisti? Neanche l’ombra. Studenti di Belle Arti? Chissà perché, nessuno sapeva mai dove trovarli. Per poter essere umanisti, dovevamo improvvisarci grafici. Così feci, e con me tanti altri.

Una dopo l’altra, feci locandine a blocchi, cornici, quadrati ed ellissi schiacciate, scoprii la meravigliosa differenza fra i font serif e sans serif, iniziai a smarginare col lazo magnetico, chiesi aiuto a chiunque potesse aiutarmi a capire come lavorare meglio. Tutto questo aveva l’esaltante valore di un apprendistato artigianale.

Affermo una banalità sociologica: dipendiamo dalle immagini. La declino nella mia esperienza quotidiana: qualunque sia la storia da raccontare, il post da pubblicare, l’evento da realizzare arriva il momento in cui bisogna tirar fuori un visual. Negli ambiti in cui lavoro, circa il 70% delle volte non c’è budget e le uniche alternative sarebbero chiedere a un grafico di lavorare gratis o rinunciare. Io ci ho provato, beccandomi tutti gli insulti del caso da chi giustamente vedeva l’ingenuità di quello che facevo. 

In fondo, per quanto a sproposito, ho tentato di conquistarmela quella “buona conoscenza del pacchetto Adobe”. Ora è arrivato Canva e ho notato che qualcuno mette quello sul curriculum. Beh, ci sta: d’altronde da Kant a Canva sicuramente il passo è stato più breve.

Alfredo Bruno
Alfredo Bruno

Alfredo, co-autore del Blog (visto da Camilla): Alfredo ha talmente tante passioni e qualifiche che questo spazio non permette di descriverle tutte. Su tutte la musica, tanto da far sfigurare persino Shazam se non oltrepassiamo la soglia degli anni ‘80. Se imparasse a dire no più spesso riuscirebbe sicuramente a dormire la notte, ma non lo fa mai. Se l’avesse fatto, però, forse questo blog non sarebbe mai nato.

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