Anello di congiunzione tra case editrici e scrittori, l’agente letterario, mitologica figura da scrivania, è chiamato ogni giorno a un compito difficile: selezionare tra i manoscritti inviati da aspiranti autori il prossimo best seller.
L’articolo di Marta Carrolo
Nel mio lavoro di aspirante agente letterario, il compito (per me) più difficile è sicuramente quello della lettura e della selezione di manoscritti inviati da aspiranti autori. “Che figata!” potrebbero dire alcuni, “Chissà quante cose interessanti leggerai in anteprima!”.
Ehm. Non è proprio così.
Devo dire che ogni tanto ci si imbatte in testi interessanti, godibili, a volte veramente molto belli. Il problema è che sono rari, e di solito si viene sommersi di aspiranti Premi Nobel che, però, non hanno sfornato alcunché di tale livello.
Anche se tutti scrivono non vuol dire che dobbiamo scrivere tutti
Sfatiamo un mito: scrivono tutti e pubblicano tutti, è vero (e non è raro l’intervento di qualche buon ghost writer). Questo non vuol dire che debbano scrivere tutti, perché non è così facile come si pensa e non basta l’autoconvinzione maturata dalla capacità di saper più o meno inventare fiabe della buonanotte per i propri piccoli o il tifo da stadio di madri/padri/nonni/cugini degli zii dei vicini di casa dei cognati di tuo fratello.
Per scrivere – scrivere davvero – non basta saper coniugare i verbi e porre vicini soggetto-predicato-complemento a comporre una frase logica. Per scrivere ci vuole mestiere, quel mestiere capace di infondere anima, cuore, senso a una storia; capace di unire a uno stile accattivante, poetico, scorrevole una trama che regga e che invogli l’aspirante lettore a scoprire ciò che ha da raccontare. L’editoria oggi sforna libri come il panettiere sforna panini, risponde a regole più o meno precise (non da ultimo la necessità di vendere ciò che si pubblica – è pur sempre un’azienda), e per emergere è necessario quel quid in più che resti impresso nella mente e nei sensi di chi legge.
Il problema, però, è che molto spesso i sedicenti aspiranti scrittori pensano di avere in mano il capolavoro del secolo, quello che vincerà il prossimo Premio Pulitzer (che lo Strega è troppo nostrano), e chiedono pertanto di essere pubblicati – possibilmente da una grossa casa editrice –, di ottenere un lauto anticipo, e, perché no, essere ringraziati per averci graziato di cotanta bellezza che non poteva essere tenuta nascosta.
Agente letterario: de gustibus disputandum est
E qui entriamo in gioco noi. Perché ovviamente, per poter ottenere quanto elencato sopra, non basta presentarsi alla porta di una casa editrice, bussare, dire “ho il romanzo più bello del mondo” per essere messi sotto contratto e pubblicati.
Noi cosa facciamo? Semplice. Leggiamo, valutiamo quanto presentato e decidiamo se può andar bene per la nostra agenzia oppure no.
A questo punto qualcuno potrebbe chiedere: ma esistono metri oggettivi di giudizio? La risposta è molto semplice e rapida: no. La soggettività è la nostra grande incognita, e ciò che per uno è perfetto per un altro potrebbe essere spazzatura. Per questo è fondamentale, nel lavoro di agente letterario, cercare adeguatamente a chi rivolgersi, compiere ricerche mirate, capire a chi affidarsi. Quando giudico un manoscritto, mi faccio alcune domande specifiche: è scritto bene? La trama regge? E poi: quali sono i titoli che maggiormente abitano il mercato adesso? È un libro che acquisterei?
Purtroppo, a fronte di qualche proposta buona (poche) e testi veramente belli, l’80% di quanto proposto (e anche di più) costringe a porsi la domanda più antica e importante del mondo: Perché? Era davvero necessario?
La luce in fondo al tunnel dei no
Ricordo il caso di un aspirante autore di gialli, che aveva dato vita a una storia ben scritta e dalla trama corretta, ma che ho bocciato senza pietà. Il motivo? Mancava di anima. Era un racconto come tanti altri, un compitino ben eseguito, ma nulla più. Ovviamente ho incontrato il profondo disappunto (per essere gentili) del soggetto in questione, che non si raccapezzava di non essere stato incoronato come futuro giallista dell’anno.
Non sempre è così, per fortuna, e a volte, nel lavoro di agente letterario, riesci a trovare la luce in mezzo al buio dei no. È il caso di colei che poi è diventata una nostra autrice: aveva inviato il proprio racconto senza pretese, quasi scusandosi. Dalla presentazione sembrava interessante, ma tante cose sembrano interessanti per poi rivelarsi un buco nell’acqua dietro l’altro. L’avrei probabilmente lasciato languire tra le mie mail ancora un po’ se non fosse stato per il mio capo. E diamine se aveva ragione! Mi ha divertita, incuriosita, fatta sospirare… Insomma, proprio un bel romanzo. Che purtroppo non ha ancora trovato una casa, ma non si sa mai: la ruota gira, e ciò che oggi fa fatica domani potrebbe diventare un bestseller.
Ai posteri le storie (belle) da raccontare
Insomma, cari lettori, se avete aspirazioni scrittorie di qualunque tipo, pensateci bene. Avete bisogno di porre su carta i vostri pensieri perché vi aiuta a sfogarvi e a riflettere meglio? Benissimo, ben venga! Ma non pensate che automaticamente possa diventare un libro autobiografico, un romanzo, o alcunché di pubblicabile. È bello che certi pensieri, certi sfoghi restino nella sfera della scrittura privata, profondamente terapeutica. Provate a consegnare ai posteri qualcosa solo quando siete davvero certi di avere una storia da raccontare, da condividere appieno.
Messo da parte il mero esercizio stilistico e l’ambizione, se una storia non è raccontata con il cuore perde di qualsiasi significato.


Marta Carrolo
Una laurea magistrale in Filologia italiana e varie esperienze successive – tra cui un master in editoria – mi hanno fatto capire che la mia strada lavorativa è da costruirsi a partire dai libri, di cui sono fervente e convinta adepta da oltre vent’anni.
Amo immergermi nei cartoni Disney, nei film e nelle serie TV, che allietano e nutrono continuamente le mie aspirazioni da romantica sognatrice incallita.