videogiochi storici

Studiare Storia e lavorare nei videogiochi? Può sembrare un bug del sistema, ma la storia di Carlotta ci mostra che non è così. Anche da nabbi (neofiti dei videogame, ndr.) non si può che essere incuriositi da questa intrigante esperienza, che ci proietterà in un mondo ludico seppur targato umanista. GG a tutti!

L’articolo di Carlotta Martello

All’alba dei miei venticinque anni, mi unirò anche io alle file dei neolaureati in studi umanistici. A breve, infatti, concluderò il percorso di laurea magistrale in Storia e Media (o divulgazione storica tramite i media, o Public History che dir si voglia) e dovrò affrontare la fatidica domanda dei parenti e dei loro amici un po’ attempati: “E adesso che farai? Vuoi andare ad insegnare?”. Beh, amici, rispondo preventivamente, così non mi faccio trovare impreparata. Non lo so, e assolutamente no.

Non fraintendetemi, non ho nulla contro gli insegnanti, ho tanti amici insegnanti, è una nobile professione. Per la verità ritengo necessiti di una vera e propria vocazione, cosa che io – e molti, moltissimi studenti di lettere e affini – non ho. Se si è fortunati, infatti, si può comunque avere la possibilità di indirizzare i propri studi verso quelle che sono le proprie passioni. Nel mio caso è stato così: mi sono laureata in Archeologia in triennale, poi ho trovato l’indirizzo in Storia e Media, e mi ci sono fiondata sopra senza esitare.

Non mi pento di nulla”, direbbe qualcuno, magari in francese. Sono dell’idea che l’unico modo per andare avanti senza dubitare della propria scelta controcorrente sia quella di bussare ad ogni porta, cercare ogni occasione.

Call of duty: la prima esperienza

La mia prima porta si è aperta da poco. Da qualche mese a questa parte, infatti, sto collaborando con uno studio di videogiochi indipendente in qualità sia di scrittrice che di consulente storica. Sorprendentemente, questo è esattamente quello che volevo fare quando mi sono iscritta all’università, quindi non posso lamentarmi.

Lo so che state pensando: ma in che senso una laureanda in Storia va a fare videogiochi? Ci sono i programmi informatici. Moltapauramoltaansia.

Sì, ma no. Sebbene sia richiesto (in questo specifico caso, non di solito) a noi scrittori di implementare le missioni che scriviamo in un programma chiamato Unity che le “trasforma” in veri pezzi del gioco, io sono negata, e quindi mi limito a scrivere. Tutto sommato non è diverso dallo scrivere piccole sceneggiature – frasi brevi, direttive per il montaggio, poco spazio alla narrativa.

Non avevo mai scritto qualcosa del genere prima, e sto imparando mentre lo faccio. È ugualmente terrificante e stimolante. Immaginate di dover pensare a non uno, ma due o tre modi diversi in cui la vostra storia può andare, tutto in base alle scelte del giocatore. Sono io ad offrire le possibilità, ma la scelta finale – quello che chiamiamo l’elemento Gioco di Ruolo – è lasciato interamente a chi gioca. Non sono io ad aver scelto il tema del gioco, quindi la sfida più grande è trovare la creatività nella scatola che è la trama principale.

Red “Beer” Redemption

A tutto questo unisco le mie competenze storiche, facendo ricerche per conto del team e correggendo gli errori dei non “addetti ai lavori”, ad esempio come quella volta in cui tutti gli altri scrittori del team dei videogiochi avevano inserito come bevanda prediletta dei peasants rinascimentali la birra. La cosa non mi convinceva. Ho fatto una corsa su JStor (dolce e caro JStor) e ho verificato se fosse possibile che qualcuno di non ricco avesse accesso a birra d’importazione, dato che in Italia – salvo in sparute comunità monacali nelle vallate alpine – non si produceva birra nel Rinascimento. I miei compagni scrittori sono rimasti molto sorpresi (e anche io!) nel momento in cui ho constatato non essere la bevanda giusta, ma non credo mi abbiano maledetto troppo quando ho chiesto loro di cambiare questo particolare in tutte le missioni. Cioè, almeno spero.

The last of us: gli umanisti

Non vi mentirò: spesso, tanto spesso, è più frustrante che divertente, tutte le scadenze, la confusione, l’inevitabile mancanza di organizzazione… mi sto confrontando con tutte le sfide che prima o poi tutti affrontiamo nel mondo del lavoro.

Spesso ci sentiamo dire che per i nostri studi esistono soltanto vie obbligate, ma non è così. Certo, le opportunità non fioccano, ed è difficile che qualcuno vi venga a cercare appena laureati per offrirvi un lavoro ben pagato. Mala tempora currunt, ma non possiamo starcene qui fermi ad aspettare. Dobbiamo reinventarci, ed inventare nuove professioni, proporre nuove idee, far vedere a chi ci ritiene portatori di conoscenze stantie e superate che non è così. Che non c’è nulla di più attuale di quello che studiamo noi, e che sebbene non siano i libri di storia a portarci nello spazio, sono le parole dei letterati che imbottigliano i sentimenti degli astronauti.

Perché da che mondo è mondo, non c’è emozione umana che non sia stata descritta da un umanista. Quindi avanti tutta, ad astra.

Carlotta Martello

Ho 25 anni, studio Storia e Media all’Università di Roma Tor Vergata e leggo libri fantasy. Non parlo molto, e non so scrivere bio, infatti nella descrizione sui social ho solo l’emoji di Saturno. Ascolto musica indie, mi piacciono le serie tv (tutte tranne quelle storiche) e ho la folle ambizione di lavorare in un ambito affine ai miei studi.

I Laureati
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